UN MELONE CON LE GAMBE

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Mancava un mese alla nascita del mio fagiolino ed io esplodevo di gioia e non solo. Ero enorme, non riuscivo più ad allacciarmi le scarpe da sola, a farmi il bagno senza che qualcuno non mi sollevasse di peso, a fare le scale senza avere il fiatone. Non ce la facevo più e vivevo in un dilemma continuo: da un lato volevo partorire il prima possibile e tornare ad essere da “melone con le gambe” ad una melanzana; dall’altro non volevo perdere quel rapporto simbiotico ed unico con il mio bambino, che solo la gravidanza può regalare ad una mamma. Alla fine ha vinto l’idea che volevo partorire subito, anche oggi stesso mi dicevo. E così diedi finalmente un senso alla palla da yoga comprata da anni e rimasta in cantina: la utilizzavo per fare degli esercizi che potessero stimolare la nascita, ed in effetti posso garantire che almeno su di me sono serviti.

Sin dall’inizio ho pensato che avrei avuto un parto naturale e volevo fosse così, il cesareo mi spaventata. E mi ripetevo sempre: se ce l’hanno fatta tutte le donne sin dalla notte dei tempi, anche in situazioni estreme, persino in casa, perchè non avrei dovuto farcela io? Ancora ricordo le parole del mio Maestro di danza quando ci lamentavamo dei dolori ai piedi causati dalle punte: “ Siete donne, siete forti e sapete come sopportare il dolore. Altrimenti come farete a partorire?”. In effetti aveva ragione, e me ne sarei accorta sulla mia pelle.

Era inizio Febbraio, ero tornata a casa dai miei, dovevo sottopormi ai monitoraggi dell’ultimo mese. In uno degli ultimi controlli, il ginecologo mi disse che il bimbo era in posizione ma era già abbastanza grosso e stimando che mancavano ancora 3 settimane, avrebbe potuto raggiungere un peso tale per cui avrebbe dovuto farmi il cesareo. A quelle parole rabbrividii e pensai quasi di tornare a Roma e di partorire in ospedale, dove sicuramente le avrebbero prima tentate tutte per farmi partorire naturalmente. Poi forse il cesareo.

Ma il tempo non ci fu, i dilemmi sul da farsi li sciolse il mio bambino: ero a pranzo con i miei genitori e Tommaso, che era venuto a trovarmi per il week end., quando all’improvviso, davanti al caffè appena in tavola, il mio viso cambiò espressione: avevo avvertito una sensazione di “liberazione” e poi di bagnato. Sillabando dissi: “Si sono rotte le acque!”. E di lì la scelta fu solo una: andare il più presto possibile in clinica.

Meno male che la valigia era già pronta… 🙂

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