I pensieri in quei momenti erano disconnessi come i dolori delle doglie, andavano e venivano come un’onda che si infrange violenta sugli scogli, e rimbalza indietro lasciando degli attimi di calma apparente.
Seguivo i consigli avuti durante il corso pre-parto, ondeggiando per la stanza come una danzatrice del ventre, facendo un otto col bacino e tenendomi stretta alla struttura del letto, o alla sedia, o a Tommy per contenere il dolore. In quella danza senza musica il il primo pensiero che arrivò fu: “Perchè non sono nata uomo?”: probabilmente la mia vita sarebbe stata più semplice, meno paranoie, più goliardia, e sicuramente zero dolori da parto. Poi guardai Tommy e lo vidi affranto, preoccupato di come stessi, e mi resi conto che pur senza dolori, aveva paura forse più di me.
Poi pensai al momento in cui tutto ebbe inizio, quando io e Tommy ci siamo conosciuti. E se non fosse scattato l’amore? Se in quel momento avessi preso un’altra direzione ora dove mi ritroverei? Forse vivrei in un altro paese e condurrei una vita diversa, magari non avrei potuto provare la gioia di diventare mamma. Ma ero lì con i dolori ma soprattutto con la goia nel cuore e mi resi conto di non desiderare altro.
Arrivò infine un pensiero sordo ed inaspettato, di quelli che fanno male quasi quanto i dolori delle doglie: pensai a quelle madri costrette per disparate necessità a dover abbandonare i proprio figli dopo il parto. Aver avuto tuo figlio in grembo per 9 mesi, aver condiviso con lui il respiro, i battiti, la linfa, e doverlo poi abbandonare credo getterebbe ogni donna nella più grande disperazione, che non l’abbandonerà mai. In quell’istante realizzai che da quando avrei avuto il mio fagiolino tra le braccia niente e nessuno ci avrebbe mai separati. Ora però toccava farlo nascere. Un’ultima grande contrazione e partì l’urlo: “Infermieraaaaaa!!!!”.